giovedì 27 ottobre 2016

Gli indigeni indigenti


Per la prima volta questo blog ospita un articolo co firmato anche dall'amico e fratello Yvan Sagnet. 
Buona lettura.

In un commento dal titolo “La solitudine dell'indigeno italiano” comparso ieri su Repubblica, Ezio Mauro commenta l'increscioso episodio di Gorino concludendo che “ sul delta del Po, ieri è nata l'ultima nostra raffigurazione contemporanea, spogliata del cosmopolitismo, dell'identità europea, del multiculturalismo, del sentimento di cittadinanza del mondo. È l'indigeno italiano, ciò che certamente noi siamo ma che non ci eravamo mai accontentati di essere.
L'articolo comincia con la riflessione che “non ci voleva molto a prevedere quel che sta succedendo. La superficie sottile della civiltà italiana - la solidarietà cristiana, la fraternità socialista, il buon senso compassionevole liberale - si sta sciogliendo nei punti più deboli della nostra geografia sociale, i piccoli centri della lunga periferia italiana, i paesi di montagna e di campagna, le isole ghettizzate all'interno delle grandi città”.
Ezio Mauro ” definisce meglio questo “indigeno italiano come espressione di un ceto medio che viveva del proprio lavoro, e che con la crisi si sente precipitare nella mancanza di impiego e di futuro”, improvvisamente catapultato in una “guerra fra poveri” che oppone i penultimi agli ultimi, in pratica una vera e propria lotta di classe in formato inedito, che mette di fronte la modernità esausta e logorata della democrazia occidentale con la primordialità dei mondi disperati che prendono il mare per cercare sopravvivenza, e nient'altro. Gli ultimi si trovano davanti i penultimi, che non vogliono concedere agli stranieri un millimetro di spazio sulla terra che considerano loro. Se non fossero scesi fino appunto al penultimo gradino della scala sociale (quello di un ex) non si sentirebbero sfidati direttamente dai richiedenti asilo che bussano alla nostra porta: non si sentirebbero "concorrenti", invidiosi di quell'elemosina sociale che l'Europa elargisce con un'accoglienza riluttante...” 
conclude Ezio Mauro in quella che potrebbe anche essere interpretata come una evocazione probabilmente inconsapevole, delle teorie espresse da Luciano Gallino con ilsuo lavoro “La lotta di classe dopo la lotta di classe”. 

Ecco che finalmente anche il giornalismo mainstream comincia a mostrare segni di una lucidità quasi premonitoria, che identifica chiaramente il problema fuori dagli schemi del razzismo usato dalle classi dominanti come “arma di distrazione di massa”, inquadrandolo più correttamente nel contesto di una crisi che degrada socialmente ed economicamente i lavoratori occidentali. Manca quel passo supplementare per giungere alla conclusione che questa crisi non sia altro che la conclusione inevitabile del modello economico del capitalismo finanziario. Bene quel passo lo facciamo noi.
Bisogna che Ezio Mauro e tutti i commentatori ufficiali si arrendano all'evidenza che stanno continuando a cercare di rianimare un modello economico che è ormai definitivamente in coma.
Un modello che, nato sotto la promessa di redistribuire la ricchezza ancorchè in modo diseguale (la famosa “mano invisibile” dell'economia classica) assicurando ricchezze smisurate ai padroni (sotto forma di profitti, dividendi, ristorni azionari) e una ricaduta di briciole alle classi sottoposte (sotto forma di salari o di welfare), ormai produce solo concentrazione di ricchezza e diseguaglianza, in una logica esasperata del profitto estremo che si esprime in modi differenti nell'occidente “ricco” o nel terzo mondo derelitto.


 In occidente si distruggono diritti e si livellano salari, nel terzo mondo si accaparrano terre fertili espellendo e gettando sul lastrico il tessuto di piccola proprietà contadina (Carlo Petrini e lo Slow Food hanno fatto di questa battaglia l'elemento centrale della loro iniziativa Terra Madre con il progetto dei diecimila orti in Africa http://www.slowfood.it/il-land-grabbing-si-mangia-lafrica-ma-anche-leuropa-e-litalia-e-a-rischio/ ) e si saccheggiano le ingenti risorse naturali dei paesi “poveri” acquisendole a prezzi di saldo grazie a rapporti di favore con le locali oligarchie corrotte e elette a interlocutori privilegiati dopo un accurato “processo di selezione” che ha ucciso tutte le forze sane che nel passato hanno tentato di affermare il principio dell'Africa agli Africani (vedi Patrice Lumumba in Congo, Thomas Sankara in Burkin Faso, Ken Saro Wiva in Nigeria, tutti trucidati per eliminare scomode e autorevoli voci che miravano a estromettere le multinazionali occidentali dalla gestione delle loro risorse naturali).
Thomas Sankara
Così questa overclass mostruosa che detta le regole del gioco in tutto il mondo tramite i colossi petroliferi nordamericani, arabi, russi o cinesi, e le relative oligarchie finanziarie determina l'espulsione dai processi produttivi dei lavoratori del mondo industrializzato, perché il fattore lavoro viene degradato a semplice costo da azzerare sia tramite la tecnologia che l'ideologia, in modo da massimizzare il profitto, facendo scendere di svariati gradini quelle classi medie che negli anni sessanta e settanta hanno costituito il tessuto connettivo della borghesia emergente e sui cui risparmi ancora vivono intere generazioni di giovani.
Ma nel terzo mondo fa ancora di peggio: determina l'espulsione degli esseri umani dalla loro terra, degradandoli a quelli che Papa Francesco chiama “scarti umani”, ossia, il portare alle estreme conseguenze quella “cultura dello scarto” definita nell' enciclica Laudato Si' par. 22 “un sistema di produzione alla fine del quale, le cose e le persone si trasformano
rapidamente in spazzatura”.
Ecco dunque che l'economia mondiale mette di fronte gli “ultimi” (gli “scarti umani” espulsi dalle loro terre e costretti a una emigrazione di disperazione), ai “penultimi”, ossia quel ceto medio che viveva del proprio lavoro, e che con la crisi si sente precipitare nella mancanza di impiego e di futuro.
Un ceto medio impoverito che non è necessariamente fatto solo di operai schiacciati dal ricatto occupazionale, la compressione dei diritti e la precarizzazione dei vari Jobs Act, ma anche di piccoli imprenditori messi spietatamente fuori mercato dalle grandi concentrazioni industriali e commerciali, piccoli contadini ricattati dalla grande distribuzione e costretti a cedere i loro raccolti a prezzi inferiori ai loro costi e equivalenti al loro valore nominale di 30 anni fa.
Un ceto produttivo di “indigeni” resi “indigenti” da politiche economiche che schiacciano l'economia reale produttiva di capitale sociale sotto il peso di una parassitaria economia finanziaria produttiva solo di capitale finanziario, che se dovesse rendersi conto di quale inganno è stato perpetrato in loro danno dalle oligarchie finanziarie globali le abbatterebbe in 24 ore. Invece viene orientato verso il falso nemico dello straniero che viene a “rubare il lavoro”.
E così questi Indigeni indigenti, impoveriti e impauriti, invece di rivolgere la loro rabbia contro i reali responsabili della loro indigenza, la orientano contro quegli stranieri e spesso rifugiati, a cui la over class finanziaria ha tolto tutto costringendoli ai viaggi della disperazione da cui molti di loro non faranno ritorno.
Questo è senza dubbio il capolavoro della overclass dominante: orientare la rabbia delle proprie vittime sugli effetti delle loro azioni anziché sulle cause del problema. E in un certo senso anche la legge sul caporalato recentemente approvata, si concentra più sugli effetti che sulle cause del caporalato originato in quella economia finanziaria speculativa che schiaccia i produttori locali comprimendone il reddito a vantaggio dei propri astronomici profitti intercettati dallo strumento della Grande Distribuzione Organizzata.
A fronte dei fatti di Goro e Gorino o altri episodi simili avvenuti in passato, il dibattito si polarizza sempre fra i due estremi dell'intolleranza razzista fascio-leghista da una parte e dello pseudo buonismo di facciata ipocrita dei renziani e piddini vari in cerca di un riscatto a fronte della loro infima povertà morale e etica dall'altra parte. Entrambi gli atteggiamenti non riescono a intervenire sulle cause effettive del problema ma si limitano a agire sui suoi sintomi, lasciando nell'oscurità i responsabili reali, quei poteri oscuri fossili e finanziari che tirano i fili dei vari burattini politici, e che ormai hanno rosicchiato la ricchezza mondiale imponendo regole inaccettabili sul piano etico e inefficaci sul piano finanziario e monetario che però vengono accettate passivamente dalle loro vittime, troppo impegnate a impedire a qualche profugo africano di godere del privilegio di accedere a un ostello estivo in pieno inverno.
Angelo Consoli

Yvan Sagnet



Ecco l'articolo originario di Ezio Mauro nella sua versione integrale: 
http://www.repubblica.it/politica/2016/10/26/news/la_solitudine_dell_indigeno_italiano-150593360/